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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (13 dicembre 2025)
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  • Mons. Eugenio Corecco con papa Giovanni Paolo II

    Il cardinale Schönborn ricorda papa Wojtyla e la sua amicizia con il vescovo ticinese Corecco

    Sono trascorsi 20 anni dalla morte di San Giovanni Paolo II. Le immagini degli ultimi giorni di pontificato sono quelle del Papa ritratto di spalle, nella cappella pontificia, con un grande crocifisso in mano, mentre segue alla tv la via Crucis dal Colosseo. Wojtyla si spense a 84 anni, sabato 2 aprile 2005, alle 21.37 dopo uno dei pontificati più lunghi e probabilmente più significativi della storia, durato quasi 27 anni (1978-2005). Un periodo che parve anche ridisegnare l’Europa con quella che fu la caduta del muro di Berlino (1989). Visitò anche la Svizzera e Lugano nel 1984. Poi il viaggio a Berna per i giovani nel 2004. Ai suoi funerali assistettero milioni di persone. Vi apparvero degli striscioni che ne acclamavano la santità. Si dovranno attendere appena 6 anni per la beatificazione, mentre nel 2014 ci sarà la canonizzazione. Della santità di Giovanni Paolo II, della sua amicizia con un vescovo ticinese, Eugenio Corecco (1931-1995, vescovo di Lugano dal 1986 alla morte, nel 1995) e del fil rouge che unisce i recenti pontificati parliamo con l’arcivescovo emerito di Vienna, cardinale Christoph von Schönborn, grande teologo e collaboratore degli ultimi tre Papi. Von Schönborn è stato anche amico di Corecco, per questa ragione nell’intervista lo ricorda chiamandolo “Eugenio”.

    intervista di Cristina Vonzun (catholica/cdt e catt.ch)

    Eminenza, quali sono le note caratteristiche della santità che la gente ha visto in San Giovanni Paolo II?
    La gioia e il coraggio, due tratti fondamentali che hanno accompagnato
    tutta la sua vita.

    Qual è l’esperienza più forte che serba dei suoi numerosi incontri con papa Wojtyla?
    La mia più forte esperienza tra i tanti incontri avuti con San Giovanni Paolo II è avvenuta una sera a Roma, quando mi ha invitato a cena. Io era a Roma per lavorare al Catechismo della Chiesa cattolica. A cena eravamo in tre: il Santo Padre, il suo segretario Dziwisz ed io. Alla fine della cena il Papa - come sempre - andava in cappella e mi ha invitato ad andare con lui. Niente di speciale, ma la cosa più impressionante fu come lo sentii pregare: aveva sospiri, diceva parole che non ho capito. Ho vissuto un momento con un uomo che si immergeva nella preghiera: Giovanni Paolo II era una roccia di preghiera, era un uomo radicato nella preghiera. Inoltre mi ha sempre impressionato del Santo Padre quello che chiamerei un fondo di stabilità e tranquillità che Giovanni Paolo II aveva e comunicava.

    Dell’amicizia tra mons. Corecco e San Giovanni Paolo II cosa può dirci?
    Come sappiamo Eugenio Corecco aveva una visione del diritto canonico fortemente segnata dalla scuola di Monaco. Per lui il diritto canonico era disciplina teologica e non puramente giuridica. Giovanni Paolo II incluse Corecco nel gruppo di 12 famosi canonisti che leggeranno con lui, canone dopo canone, tutto il progetto di revisione del Codice di Diritto canonico. Durante questo lavoro, parecchie volte, Eugenio mi raccontò di aver portato delle osservazioni su tale o talaltra formulazione. Corecco sosteneva che non corrispondessero al senso del Concilio vaticano II. Eugenio mi disse che Felici – a capo della commissione per la revisione del Codice – si arrabbiava di queste insistenze, mentre Giovanni Paolo II interveniva chiedendo che lasciassero parlare Corecco. Quindi Il Papa ha permesso ad Eugenio di portare le sue formulazioni al Codice di diritto canonico e lo ha sostenuto nelle sue proposte di cambiamento. Penso che diversi punti del Codice siano dovuti all’insistenza di Eugenio e alla consonanza teologica e spirituale che esisteva tra Corecco e il Papa. Il Papa,
    anni dopo, quando seppe dell’aggravarsi delle condizioni di salute di Corecco, gli assicurò l’intensificarsi della sua preghiera personale.

    Lei è stato testimone della nascita del progetto della Facoltà di teologia di Lugano (FTL). Si può dire che questa realtà sia un frutto dell’amicizia tra Giovanni Paolo II e mons. Corecco?
    Fondare una facoltà di teologia nella Chiesa cattolica non è facile, ci sono regole abbastanza precise. Io ho vissuto un’esperienza analoga in Austria, con la fondazione dell’Istituto Giovanni Paolo II che esiste ormai da quasi 30 anni e di cui sono stato - fino di recente - il Gran Cancelliere. Giovanni Paolo II se voleva una cosa la decideva e la faceva. Questo non è sempre piaciuto, una cosa che comprendo. I responsabili della Congregazione vaticana per l’educazione cattolica poi si dovevano assumere il lavoro concreto per far crescere un Istituto, fino a che diventasse facoltà teologica. Giovanni Paolo II aveva una grande simpatia e una grande vicinanza con don Eugenio e aveva fiducia che lui facesse qualcosa di bene per la Chiesa. Per questo il Papa diede il permesso per realizzare la FTL, evidentemente insieme alla Congregazione vaticana per l’educazione. Ma l’appoggio di Giovanni Paolo II è stato decisivo.

    Qualcuno dice che San Giovanni Paolo II è stato un papa conservatore ma capace di grandi aperture. Lei cosa ne pensa?
    La prima enciclica di San Giovanni Paolo II, la «Redemptor hominis», è la più significativa della sua visione antropologica e cristologica. Quando fu pubblicata eravamo nel 1979, quindi nel mezzo del periodo del comunismo nel blocco dell’Est Europa. Essa ci trasmette una visione dell’uomo liberato dal Redentore. Penso che questa visione di San Giovanni Paolo II sia rimasta impressa. Certamente, a differenza di Benedetto XVI, Giovanni Paolo II aveva un accento molto forte sulla teologia morale, mentre Benedetto era un dogmatico. Giovanni Paolo II ha scritto e pubblicato e insegnato tanto sui grandi temi etici. Penso che nella vita della Chiesa emerga sempre la complementarità: Giovanni Paolo II ha messo l’accento sui dieci comandamenti mentre papa Benedetto lo ha messo sul Credo. I due pontefici non si lasciano separare.

    Qual è il rapporto con il pontificato di papa Francesco?
    Con Francesco questi insegnamenti sono usciti nella strada. Ricordo il discorso memorabile che l’allora cardinale Bergoglio fece a noi cardinali durante le Congregazioni generali nei giorni precedenti il Conclave. Ci disse che Gesù «sta nuovamente bussando alla porta, ma bussa da dentro, per uscire», invitandoci ad «aprire la porta», con un’espressione che ha ricordato quella di San Giovanni Paolo II: «Aprite le porte a Cristo». Papa Francesco intende il movimento di apertura dall’interno all’esterno: una Chiesa in uscita, che non si occupa tanto di sé stessa ma va fuori.

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