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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (12 dicembre 2025)
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  • David Neuhaus

    Il gesuita israeliano Neuhaus: "Rimuovere i palestinesi da Gaza è come un calcio nello stomaco"

    “Non abbiamo fretta”. Così il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha offerto nella giornata di ieri un dettaglio importante in merito al piano per la ricostruzione e lo sviluppo della Striscia di Gaza sotto il controllo diretto degli Stati Uniti da lui esposto la settimana scorsa, in occasione della della visita a Washington del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Parlando coi giornalisti a bordo dell'Air Force One che lo portava a New Orleans per assistere al Superbowl, il Presidente USA ha detto che occorre pensare Gaza come “un grande sito immobiliare, e gli Stati Uniti ne assumeranno il possesso, e lo svilupperanno lentamente, molto lentamente”, per portare “stabilità in Medio Oriente”,
    Da Mosca, anche il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, interpellato sul “piano-Trump” su Gaza ha preso tempo, riferendo che “Per ora non conosciamo i dettagli, quindi bisogna avere pazienza".

    Invece padre David Neuhaus, intervistato dall’Agenzia vaticana Fides, non ha esitazioni, Per lui le congetture circolate negli ultimi giorni sul futuro della Striscia di Gaza sono state come “un calcio nello stomaco”. Gesuita israeliano e professore di Sacra Scrittura, David Neuhaus è nato in Sudafrica da genitori ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania negli anni Trenta del secolo scorso. E’ stato anche Vicario patriarcale del Patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di espressione ebraica e per i migranti.




    Padre Neuhaus, quali considerazioni si possono fare davanti alle recenti proposte emerse sul futuro di Gaza?
    DAVID NEUHAUS: Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha una visione per Gaza, che ha condiviso con il mondo il 4 febbraio 2025. Il Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu era in visita da lui. È stato come un calcio nello stomaco. E io non sono nemmeno palestinese. Sono un israeliano.

    A cosa si riferisce, in particolare?
    NEUHAUS: Il piano audacemente proclamato da Trump è quello di trasformare la Striscia di Gaza, dai cumuli di macerie lasciati dalla campagna militare di Israele, in un litorale di pregio. In questa visione, non c'è posto per le persone che considerano Gaza la propria casa. Questa popolazione deve essere trasferita (e non è chiaro dove). Questa è l'ennesima tappa della rimozione dei palestinesi dalla Palestina...

    Lei vede quello che sta succedendo come parte di un processo?
    NEUHAUS: È un processo che è iniziato molto tempo fa. E che ha causato anche la concentrazione di popolazione palestinese nella Striscia di Gaza. È stato nel 1947/1948 che la popolazione di Gaza è più che triplicata con l'afflusso di coloro che sono stati espulsi dagli israeliani dalle loro case all'interno di Israele, rendendo Gaza una delle aree più densamente popolate del mondo. Trump ha parlato solo di Gaza, ma l'amministrazione di Netanyahu ha già iniziato a lavorare in Cisgiordania, seminando una distruzione simile a quella di Gaza nelle città di Jenin e Tulkarem. Migliaia di palestinesi sono già stati espulsi dalle loro case.

    Le nuove idee sul futuro di Gaza rappresentano l'unica via per immaginare il presente e il futuro dello Stato Ebraico nel contesto dell'attuale Medio Oriente?
    NEUHAUS: La visione di Trump e Netanyahu è molto diversa da quella di Peter Beinhart, un giornalista ebreo americano. Consiglio vivamente il suo ultimo libro, “Essere ebrei dopo la distruzione di Gaza: Un bilancio”, come antidoto al discorso che proviene dalla dirigenza statunitense e israeliana. Beinhart ricostruisce l'identità ebraica alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi, insistendo con forza sul fatto che l'unica strada percorribile da Israele è quella di garantire l'uguaglianza a tutti i suoi cittadini. Beinhart, i cui genitori erano ebrei sudafricani, ha assimilato pienamente il messaggio della lotta contro l'apartheid. Un'altra voce profetica, quella dell'attivista israeliana Orly Noy, presidente del Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei Territori Occupati B'tselem, ha proclamato inequivocabilmente: “La guerra finirà solo quando la società israeliana si renderà conto che non solo è immorale, ma anche impossibile garantire la nostra esistenza attraverso l'oppressione e la sottomissione di un altro popolo - e che le persone che imprigioniamo, bombardiamo, affamiamo e derubiamo della loro libertà e della loro terra possono rivendicare esattamente gli stessi nostri diritti, fino all'ultima nota”. (GV) (Agenzia Fides 10/2/2025)

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