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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (18 dicembre 2025)
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  • Uscire dai tranelli degli organigrammi per far spazio al «disordine dello Spirito»

    Abituati ad una Chiesa dove tutto è ben ordinato, regolato, gestito secondo norme e canoni ben definiti; dove i comportamenti sono composti e garbati, e dove tutto è organizzato senza lasciare nulla al caso, sentirsi dire che occorre essere rivoluzionari, disordinati e ubriachi, lascia a dir poco sorpresi.  
    Eppure è quanto papa Francesco ha detto ai responsabili dell’Azione cattolica italiana il 30 aprile scorso in uno di quei messaggi che da sempre cadenzano il cammino di questa associazione diventando magistero. Un discorso rivolto in realtà a tutti gli aderenti dell’Azione cattolica, non solo in Italia, affinché l’impegno di formazione e di corresponsabilità pastorale nelle Chiese locali non diventi burocratica abitudine, con formule e organigrammi predefiniti che spesso diventano ostacolo all’annuncio del Vangelo.
    In realtà, ci aveva pensato la pandemia a dare un primo scossone alle nostre certezze mandando all’aria tanti progetti. Ora arriva Francesco che invita ad accogliere l’imprevisto per «restare docili allo Spirito e, soprattutto, fedeli alla vita degli uomini e delle donne del nostro tempo». Lo fa mettendo in guardia l’Ac da un suo peccato ricorrente: il funzionalismo. «È triste vedere quante organizzazioni sono cadute nel tranello degli organigrammi: tutto perfetto, tutte istituzioni perfette, tutti i soldi necessari… Ma dimmi: la fede dov’è? Lo Spirito dov’è?».
    Allora, ecco l’elogio del disordine, dell’ubriachezza, della rivoluzione: «Il Vangelo è disordine perché lo Spirito, quando arriva, fa chiasso al punto che l’azione degli apostoli sembra azione di ubriachi; così dicevano: ‘Sono ubriachi!’ (cfr At 2,13). La docilità allo Spirito è rivoluzionaria, perché è rivoluzionario Gesù Cristo, perché è rivoluzionaria l’Incarnazione, perché è rivoluzionaria la Risurrezione. Anche il vostro invio dev’essere con questa caratteristica rivoluzionaria».
    Ora, di fronte a queste parole, a questo magistero, l’Azione cattolica ticinese non può restare indifferente. Deve farsi movimento più di altri movimenti, deve prendere alla lettera questo invito a vivere – di fatto – la Pentecoste in ogni sua attività, abbandonarsi alla docilità dello Spirito anche se vanno a monte tutti i bei progetti così ben pensati a tavolino.
    L’atteggiamento deve essere quello della gratuità, del dono, del farsi prossimo, che è l’esatto opposto della logica della conquista. «Il tempo della pandemia, che ha chiesto e tuttora domanda di accettare forme di distanziamento, ha reso ancora più evidente il valore della vicinanza fraterna: tra le persone, tra le generazioni, tra i territori». E l’Azione cattolica può fare molto in questo campo, perché siamo associazione di laici, con un forte carattere popolare, coscienti di non doversi dedicare alle «cose dei preti» per essere invece ricchezza e risorsa per tutta la Chiesa. «Voi laici di Azione cattolica – dice il Papa – potete aiutare la Chiesa tutta e la società a ripensare insieme quale tipo di umanità vogliamo essere, quale terra vogliamo abitare, quale mondo vogliamo costruire. Anche voi siete chiamati a portare un contributo originale alla realizzazione di una nuova ‘ecologia integrale’: con le vostre competenze, la vostra passione, la vostra responsabilità».
    È una Chiesa sinodale quella che ci invita a vivere Francesco nella diocesi di Lugano, dove l’Ac costituisce una «palestra» di sinodalità o, per usare un termine caro al vescovo Valerio, «laboratorio di speranza» dove la fede in Gesù risorto è «fermento d’intelligenza del reale, di presenza reciproca e fraterna, di attenzione a ogni forma di bisogno di disagio e di povertà». Il nostro auspicio è che questo modello di sinodalità ci porti, come Chiesa che è in Lugano, a vivere e riflettere insieme sul dopo pandemia, dove la salute – che oggi sembra essere il bene in assoluto più prezioso – possa coniugarsi con un messaggio di salvezza. Il nostro contributo, responsabile e propositivo, non mancherà. Certi – per dirla ancora con Francesco – che la voce dei laici non verrà ascoltata «per concessione» ma «per convinzione e per diritto».

    di Luigi Maffezzoli

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