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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (12 dicembre 2025)
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  • Dante Balbo, diacono, psicologo e psicoterapeuta

    30 anni di servizio, varie vocazioni, per un’unica missione nella Chiesa

    di Silvia Guggiari

    Dopo 30 anni di onorato servizio per Caritas Ticino, Dante Balbo ha raggiunto il pensionamento lo scorso ottobre. Diacono della diocesi, psicoterapeuta, sposato e padre di due figlie, Balbo ha saputo vivere diverse vocazioni facendole confluire un uni co grande servizio alla Chiesa. Lo abbiamo incontrato per fare un bilancio del suo percorso e capire come sta vi vendo questi mesi di cambiamento.

    Dante Balbo, cosa ricorda dei suoi 30 anni a Caritas Ticino?

    Sono arrivato a Caritas come psicoterapeuta con una formazione di psicologo per essere impiegato nel settore sociale, ma ricordo ancora che durante la prima riunione, l’allora direttore Roby Noris propose di lanciarci anche nel mondo della televisione. Inizialmente l’idea di lavorare in televisione mi sembrava veramente strana, ma poi mi sono appassionato anche a questa avventura. Per quanto riguarda gli altri in carichi, per molti anni ho seguito la formazione sulla dottrina sociale della Chiesa. Negli anni, il modo di fare servizio sociale è cambiato: da un servizio sociale assistenziale o comunque di supporto al bisogno, si è passati a un servizio sociale che valorizza le risorse della persona più che i suoi bisogni. È stato un cambiamento notevole durante il quale abbiamo aperto il servizio sociale ad esperienze diverse.

    Sono dunque cambiate le povertà e le emergenze in Ticino?

    Ci sono delle fasce di popolazione fragili che lo erano prima e lo sono ancora oggi; ma da 10 anni ci occupiamo anche di un fenomeno emergente che è il sovra indebitamento e in questo siamo diventati un punto di riferimento. La povertà in Ticino è diversa rispetto a 30 anni fa. Oggi abbiamo l’assegno integrativo che è una realtà solamente ticinese, come anche gli asili nido e le scuole dell’infanzia che fanno parte della struttura scolastica mentre in altri Cantoni sono a pagamento. La povertà di oggi è una povertà sempre più di cittadinanza, nella quale le persone sono spesso in difficoltà con le istituzioni perché rientrano in tutta una serie di situazioni ibride a cui lo Stato non è in grado di far fronte con la rapidità necessaria. «L’uomo è più del suo bisogno» è la frase pronunciata dal vescovo Corecco in occasione del 50 esimo di Caritas che riassume bene il nostro impegno e la nostra missione.

    Accanto all’impegno a Caritas, c’è stata la scelta del diaconato. Cosa ha portato in più nella sua vita?

    Sono entrato a Caritas proprio nell’ottica del diaconato. Sono stato ordinato nel 1998 dal vescovo Torti dopo un percorso di studi e di approfondimento: all’epoca, in diocesi c’era ancora una situazione non chiara riguardo al ruolo ministeriale del diacono; non c’era un pro getto per i diaconi, c’era la possibilità di integrarsi in parrocchia, cosa che io ho fatto nel 2005, assumendo la direzione del coro. Il lavoro che si sta facendo adesso, per il quale il diaconato permanente è inserito dentro un contesto ministeriale più ampio e in cui c’è una formazione specifica per i lettori, per gli accoliti e per i diaconi in una sorta di percorso gerarchica mente definito, indica che c’è un’ottica ministeriale più legata alla laicità. È come se finalmente si stesse creando un corpo ministeriale. Il diaconato come l’ho vissuto io è stato una sorta di avventura pioneristica che in qualche modo ho esercitato di più all’interno del movimento di cui faccio parte, il Rinnovamento nello Spirito.

    Come ha contribuito alla sua fede il movimento del Rinnovamento?

    È una realtà che conosco dal 1977 e che mi ha fatto scoprire un Gesù vivo che cammina con me con grande umiltà. È una strada come ce ne so no tante e che nella mia vita ha avuto un grande significato. Credo che il Rinnovamento abbia un grande dovere nei confronti della Chiesa che è quello di testimoniare la dimensione carismatica, valorizzando le risorse umane ma anche spirituali delle persone.

    Cosa le ha insegnato la figura di Gesù?

    Per me Gesù era un uomo straordinario con una capacità di relazione molto bella. Gesù non ha lottato, ma ha accolto la vita com’era, tanto che ha accettato anche la morte come un’esperienza necessaria, difficile, dolorosa. Quando sei di fronte a una difficoltà ci sono due possibilità: o la accogli e la fai diventare strumento di guarigione e di ricchezza, oppure ci sbatti contro e ti fai male.

    C’è inoltre l’impegno nel Gruppo Santa Lucia…

    Esatto, sono presidente del gruppo Santa Lucia che cerca di conservare un nucleo storico di UNITAS (la Federazione svizzera dei ciechi unita ad un ramo religioso dedicato alla loro spiritualità), ma anche di continuare a vivificarla.

    Quali sono i progetti per questa nuova fase della sua vita?

    Da qualche mese ho iniziato il corso di Teologia alla Facoltà di Teologia di Lugano. È stata mia moglie Silvana a lanciarmi questa idea. Mi piacerebbe dedicarmi alla scrittura, comporre musica – sono al terzo anno di un corso di canto –, e magari continuare a seguire qualche persona con la psicoterapia.

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