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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (13 dicembre 2025)
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  • Di che cosa parliamo quando parliamo della spiritualità che incontra la cura?

    Di che cosa parliamo quando parliamo della spiritualità che incontra la cura? Un incontrarsi a volte sottile, leggero come le ali di un uccello che dialoga con il vento, altre tumultuoso come la tempesta in mare aperto. Il 23esimo Convegno della Fondazione di Ricerca psico-oncologica e dell’Associazione «Triangolo » proprio sul rapporto tra spiritualità e cura, svoltosi lo scorso 29 settembre, portava un curioso titolo: «La parte degli angeli» ( angel share), che evoca quella porzione di Whisky, che evapora dai barili di legno durante la maturazione. Si potrebbe allora dire, metafora permettendo, che ne è la sua anima donata agli «angeli». È l’invisibile che tracima portando con sé nel suo profumo, nella sua capacità di evocare i sensi più profondi la sua parte nascosta e segreta. Un’immagine che richiama la condizione di eccedenza e di ineludibile trascendenza, che appartiene all’umano indipendentemente dal proprio personale credo religioso. La spiritualità è allora quella parte degli angeli, che irrora e da vita alla Cura. La spiritualità abita infatti l’invisibile concreto, tanto quanto la tecnica sta nel visibile e nel misurabile, della speranza, che ne è la sua anima. Spiritualità, speranza e Cura, tre mondi in cui si sentono i battiti del cuore dell’esistenza. La Cura è così spiritualità e la spiritualità è Cura, gesto, parola, sguardo, presenza, commozione verso chi tende la mano in cerca di aiuto. L’uomo ha bisogno di cura, l’uomoècura, è cura per sé, è cura per l’altro, è cura per il mondo. Se noi togliamo questa dimensione condanniamo il mondo alla sua rovina, lo priviamo della sua « riserva simbolica », che la spiritualità contiene. Se la Terapia ha bisogno di competenza e di rigore, la Cura ha bisogno di essere bagnata incessantemente nelle acque dell’amore, della solidarietà e della tenerezza del gesto, dello sguardo e della parola. Tutto ciò da forma al linguaggio affettuoso della spiritualità, «sentinella» della dignità della Persona e della sua inalienabile singolarità e custode nella Cura dell’opera della speranza. In essa l’opera della speranza svolge un compito generativo, di cui il curante è sovente un vero e proprio «ostetrico della vita». Nove sono i «passi di danza» di quella spiritualità in situazione, che chiamiamo Cura:

    1. quello che apre alla trasformazione, che fa del presente la dimora del futuro e del viaggio una permanente scoperta;

    2. quello che la lega all’immaginario, che abita dentro l’esistenza, nell’orizzonte delle cose ideali da raggiungere e da sognare. La speranza qui cammina nel vento di una missione, che ognuno di noi ha depositata dentro di sé;

    3. quello che fa accadere lo stupore della vita, che svela la meraviglia contro il già fatto, il già saputo, contro la banalità del mondo;

    4. quello che la fa parlare con il linguaggio del Possibile, là dove sempre è possibile qualcosa anche quando tutto sembra impossibile;

    5. quello che non la fa vivere solitaria, ha bisogno di compagnia e di comunione, di amicizia e di fratellanza e di una comunità accogliente, senza la quale il suo respiro diverrebbe faticoso;

    6. quello che indica la via contro la rassegnazione di fronte al destino. Un destino che diviene così destinazione, da esilio ad esodo;

    7. quello che le insegna l’arte dell’attesa. La spiritualità nella Cura ha bisogno della forma lenta della vita. Qui sta la tensione tra il dolore di qualcosa che non arriva e la gioia di qualcosa che nuovamente bussa alla tua porta;

    8. quello che apre all’amore del gesto di Cura, che è tenerezza, gentilezza, abbraccio dato e ricevuto;

    9. quello di essere messaggera dell’Altrove e dell’Oltre, di abitare insieme il quotidiano e il mistero di «ciò che è già ma non è ancora». Messaggera la spiritualità, come quell’« invisibile concreto » che dice della fondamentale trascendenza dell’uomo, che permette di volare oltre le nubi della tempesta contro la gravità dell’esistenza.

    di Graziano Martignoni, psichiatra

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