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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (17 dicembre 2025)
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  • L'interno della chiesa di Mogno dell'architetto Mario Botta

    La Chiesa e le sue chiese: il punto su «una sfida estrema»

    La Facoltà di teologia di Lugano ospita un convegno dedicato a «Architettura e teologia nella costruzione delle chiese». Ne parliamo con il teologo e architetto ticinese Arturo Cattaneo, che è tra i relatori.

    Prof. Cattaneo, quali sono – alla luce del tema del convegno - le sfide nella costruzione di una chiesa?

    La Chiesa comunità e la chiesa edificio sono chiamate a dar luogo ad una simbiosi che dovrebbe essere fruttuosa, ma che a volte risulta faticosa o peggio. Costruire una chiesa è sempre stato uno dei compiti più difficili per un architetto, per la realtà così speciale, unica – trascendente – che essa è chiamata ad accogliere e a manifestare. Tale compito si è fatto ancora più arduo nella nostra epoca, non solo per il fatto di aver abbandonato i diversi stili architettonici affermatisi nel corso dei secoli (romanico, gotico, barocco…), ma anche per la secolarizzazione che porta ad una crescente difficoltà o incapacità di comprendere il senso della trascendenza. Si è così persa la centralità che occupavano le chiese e soprattutto le cattedrali nei centri urbani, dove rimangono soprattutto come attrazione per i turisti, mentre gli edifici che caratterizzano i nuovi centri urbani sono quelli di carattere politico, economico (banche), sportivo (stadi) e culturale (musei, centri di congressi, ecc.). 

    Ma non pensa che ciò rispecchi un’evoluzione normale e inarrestabile?

    Evidentemente si è prodotto un notevole spostamento degli interessi e delle priorità. Ma al di là di questo, occorre constatare che nella nostra società vengono sempre più a mancare i punti di riferimento. Predominano l’apparire e il consumare. Si diffonde una «società liquida», come la chiamò il filosofo polacco Zygmunt Bauman, in cui regna la convinzione che «il cambiamento è l’unica cosa permanente e l’incertezza è l’unica certezza». In tale prospettiva non sorprende che Mario Botta abbia visto nella costruzione di chiese «una sfida estrema», come dice nel volume Architetture del sacro. Preghiere di pietra. Una sfida che coinvolge teologia e architettura.

    Ci dice qualcosa sul compito che spetta alla teologia?

    La teologia, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, ha riflettuto prevalentemente sulla storia della salvezza e perciò sulla dimensione temporale, molto meno su quella spaziale. Ciò è comprensibile – come ha spesso fatto notare il Papa – poiché «il tempo è superiore allo spazio». Ciononostante, proprio nel costruire una chiesa, anche lo spazio e l’arte sacra hanno rilevanza architettonica e teologica. Il Concilio ha sì sottolineato l’aspetto interiore e spirituale della Chiesa, ma ha anche ricordato il valore della sua dimensione visibile e quindi sacramentale, cioè di segno sensibile di cui si servono Cristo e il suo Spirito nel continuare l’opera di salvezza. Ha inoltre auspicato per l’arte sacra una «nobile semplicità» (Sacrosanctum Concilium, n. 124), che qualcuno ha purtroppo inteso nel senso di «minimalismo funzionalista ». Non ha perso di attualità la via pulchritudinis di agostiniana memoria. Lo ha ribadito papa Francesco, dando rilievo «all’uso delle arti nella stessa opera evangelizzatrice, in continuità con la ricchezza del passato, ma anche nella vastità delle sue molteplici espressioni attuali, al fine di trasmettere la fede in un nuovo linguaggio parabolico» (Evangelii gaudium, n. 167).

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