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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (13 dicembre 2025)
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  • La vita affettiva fra i temi al centro dell'incontro con i giovani del vescovo di Lugano Valerio Lazzeri

    Nell’incontro di sabato 8 febbraio, il vescovo ha ripreso i capitoli 6-7 della prima lettera ai Corinzi di San Paolo, che aveva trattato già nella scorsa catechesi in gennaio, in cui erano presenti anche le famiglie. In questi capitoli della lettera si parla del corpo, della vita affettiva e delle relazioni.

    Paolo cerca di far capire ai cristiani che quello che proclamano come messaggio al mondo ha a che fare anche con gli aspetti della vita corporea umana. La maggioranza a Corinto era di cultura greca, ma c’erano anche ebrei e latini. Il vescovo ha spiegato come questi tre popoli avevano una concezione diversa sul corpo, che può essere giusta o parzialmente giusta.
    Il Cristianesimo ha trovato un senso nuovo: il corpo è per il Signore. Per il cristiano il corpo è la possibilità di entrare in relazione con gli altri, con il mondo e con Dio stesso.

    In questa lettera Paolo parla anche del matrimonio, esperienza che non conosce, visto che non era sposato. Le persone di quel tempo erano legate con matrimonio non cristiano. Per Paolo è determinante che se uno della coppia non è credente, deve accettare che l’altro lo sia e viceversa. L’esperienza di fede di uno dei due coniugi può contagiare l’altro (vedi 1 Cor 7,12-14). Il rapporto corporeo tra donna e uomo è una cosa positiva ed essenziale.

    Dopo la catechesi ci siamo divisi in tre gruppi per discutere quello che aveva commentato il vescovo, formulando delle domande da porgli. Il vescovo ha iniziato il discorso dicendo che bisogna cogliere l’originalità dell’esperienza Cristiana. Gesù non ha dato delle leggi e l’esperienza non si può trasmettere al 100% nella Bibbia. Rispondendo poi alle domande, ha continuato dicendo che il celibato e il matrimonio sono un dono di Dio e la loro giustificazione non può essere data dall’esterno. I sacerdoti non sposati sono una caratteristica della Chiesa latina e questo non è un dogma. Il fatto di rimanere celibi è però un fatto essenziale per la vita della Chiesa. La vocazione del celibato e del matrimonio si sostengono a vicenda. Qual è la vocazione di chi non si ritrova in queste due categorie? Chi non si sposa per disprezzo del matrimonio è rimasto alla visione dell’Antica Grecia. In ogni caso tutti hanno una vocazione, anche la maestra zitella del paesino, per esempio, può vivere una vita piena, senza consacrarsi, dedicandosi all’insegnamento dei ragazzi. In ogni condizione umana c’è l’orizzonte ultimo della vita, la possibilità di raggiungere una pienezza, escluso però chi non crede in questa possibilità. In ogni cuore umano c’è uno spazio segreto in cui accede il Signore. Il cammino di un essere umano lo può valutare solo Dio vedendo il punto da dove è partito ed il cambiamento che ha fatto, non guardando solo la condizione di partenza.

    Qualcuno ha chiesto poi come si giustifica che siano i sacerdoti a dare una parola sul tema del matrimonio, visto che vivono il celibato. Il vescovo ha risposto che i preti, per preparare i fidanzati al matrimonio, non sono da soli, ma sono accompagnati da una coppia sposata. Gli sposi devono aver capito anche il dono di una persona celibe come il sacerdote. Rispondendo alla domanda su come si fa a trovare un equilibrio tra corpo e spirito il vescovo ha risposto che l’esperienza cristiana non è fatta solo di spirito, ma anche di corpo. Infatti, pregando si dispone il corpo alla relazione con il Signore e i gesti che si fanno nelle celebrazioni sono tutti legati al corpo. Anche i sacramenti sono degli elementi corporei: mangiamo il corpo di Cristo, beviamo il corpo di Cristo, veniamo unti con l’olio santo, ecc. Non si può vivere una relazione senza il corpo, neppure la relazione con Dio.

    Concludendo, i cristiani non hanno negato la visione latina e greca, ma tutto è stato elaborato dall’esperienza del vissuto. L’insegnamento della Chiesa non può essere ridotto a “si può fare così” o “non si può fare così”.

    Thomas Heusser

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