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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (17 dicembre 2025)
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  • Cele Daccò

    Mons. Willy Volonté ricorda Cele Daccò scomparsa a 102 anni

    Lo scorso 3 agosto, si è spenta a 102 anni nella sua casa di Montagnola, Celestina (Cele) Daccò. Vedova dal 1975 dell’industriale Aldo Daccò, ha sull’arco di tutta la sua lunga vita sostenuto con grande generosità molti enti ed organizzazione del nostro territorio. Decisivo fu il suo contributo alla nascita e allo sviluppo del sistema universitario ticinese. Qui di seguito un ricordo di mons. Willy Volonté, segretario emerito della Facoltà di teologia di Lugano.

    «Le dobbiamo molto. Un umanesimo aperto a una domanda superiore ». Così scrissi su facebook, quando seppi della dipartita di Cele Daccò. Persona preziosa, discreta, senza ostentazione, ma determinata nell’agire. Faceva parlare più l’operare che il discorso sofisticato. La conobbi in apertura degli anni ’90. L’ambito era la curia del vescovo Eugenio Corecco e il tramite, l’operosissimo Carlo Franscini, persona assai nota negli ambienti diocesani. In fondo per operare il bene abbiamo sempre bisogno di un apripista. Eravamo a corto di risorse finanziarie in quegli inizi della Facoltà di Teologia e l’impresa accademica rischiava di nascere con un affanno debilitante. Certo che l’impresa accademica sembrava ambiziosa, persino temeraria, quando ancora in Ticino gli istituti accademici avevano le sembianze dell’araba fenice: «che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa», per dirla con il Metastasio. Ci volle la lungimirante apertura culturale, pastorale ed ecclesiale del vescovo Corecco e la sua intraprendente determinazione per smuovere le visioni e i progetti accademici stagnanti, che neppure gli organismi cantonali e governativi sapevano come risolvere. È a questo momento che due visioni, apparentemente lontane, provvidenzialmente s’incontrarono: quella del vescovo di Lugano e quella di Cele Daccò. Cele non possedeva un intenso sentire ecclesiale. «Se c’è da fare, lo faremo», soleva dire la Signora, che certamente si sentiva rassicurata da quel discorrere pacato e profondo di un giovane vescovo che portava con sé visioni ossigenanti. Di lui si fidava, per questo non lesinava in generosità. Avevo intuito, frequentandola nella sua bella dimora a Montagnola e intessendo con lei dialoghi intensi, che certamente la Signora aveva sue personali idee sociali e politiche, ma non avrebbe mai piegato il bene culturale del Paese alla faziosità o a meschine ideologie politiche. Una volta, andandola a trovare in clinica dove era ricoverata, il discorso scivolò sull’orizzonte religioso: «Lei sa che io ho una fede debole, non so neppure se ce l’ho», mi disse quasi dispiaciuta. Mi ricordai allora, e lo dissi, di quella frase evangelica che tiene presente tante cose, tanti ritmi spirituali differenti: «Ogni volta che farete qualche cosa per questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a Me», dice Gesù. Nella bisognosa piccolezza evangelica, credo trovi posto anche quella fame di cultura alta e profonda che è la teologia. Pure questa è carità cristiana. Mi congedai da lei, le baciai la mano, come si conviene a una Signora autentica. Il resto lo custodisco nel cuore con anche il dispiacere di non avere nuovamente baciato la sua mano prima che partisse. La Chiesa di Lugano, oltre il Ticino, le devono molto. In fondo, tutto è grazia!

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