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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (14 dicembre 2025)
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  • L'Abate Mauro Lepori

    Padre Mauro Lepori: "Qualcosa che non avevo mai visto prima"

    Ci sono date indelebili nel curriculum vitae di un monaco: l’intuizione della vocazione, l’ammissione in monastero, la Professione definitiva. In quello di padre Mauro-Giuseppe Lepori, dal 2010 abate generale dei Cistercensi, ce n’è un’altra, «forse la più importante dopo quella della mia nascita», ha raccontato agli Esercizi spirituali della Fraternità di CL, «perché è la data in cui Cristo si è imbattuto nella mia vita e tutto di me ha preso finalmente senso». È il 25 febbraio 1976. Ha 17 anni. Vive con la madre, il padre e due fratelli maggiori, a Canobbio, un piccolo paese della Svizzera italiana. Va al liceo e frequenta la parrocchia. «Quella sera fui invitato, insieme a un gruppetto di giovani, da una famiglia di immigrati friulani del movimento di CL. Lui si chiamava Luciano e faceva il falegname, lei Nella, era casalinga e si occupava dei tre bambini piccoli. Non accadde nulla di eclatante. Se non l’incontro tra il mio cuore insoddisfatto e una presenza che mi diceva: “Mauro, io ci sono e sono qui per colmarlo di gioia”».

    Perché andò da loro quella sera?
    Luciano aveva invitato un gruppetto di giovani della parrocchia a casa sua con l’idea di organizzare una Messa. Era stata mia mamma, durante una riunione, ad aver fatto presente che bisognava coinvolgerci di più. Ci andai con mio fratello. Era una casa povera, ma c’era qualcosa che non avevo mai visto prima: la comunione tra loro. Rimasi impressionato da un piccolo fatto: prima di uscire Luciano tirò fuori il Libretto delle Ore e ci invitò a recitare Compieta. Io ero devoto e di solito pregavo in chiesa, non fu quindi tanto il gesto a colpirmi. Ma la sua libertà. Eravamo estranei, ma lui ci ha lasciato vedere tutto di sé.

    E cosa è accaduto dopo?
    Quella sera io incontrai non solo Luciano e Nella, ma un luogo di amicizia che rispondeva alla solitudine che provavo e che sentivo incombere sul mio futuro. Avevo 17 anni, degli amici, una passione, quasi un’idolatria per lo studio, per gli hobby. La mia solitudine era per non aver incontrato qualcosa che riempiva davvero il mio cuore. Un abisso di tristezza che conoscevo bene e in cui tante volte avevo sentito la mia vita cedere. Ma in quella casa sono stato sorpreso da un altro abisso, quello di una gioia che non era mia, che non potevo aver generato io. E a cui è seguita una oggettività di durata, perché poi, per molte settimane, sono stato felice. Il primo riflesso di quell’incontro è stato andare a cercare quel gruppetto che vedevo recitare le Lodi in un’aula della mia scuola. E poi ho cominciato a dar seguito agli inviti del mio professore di religione, don Willy, che accompagnava l’esperienza di Gioventù Studentesca nel Canton Ticino. La domenica andavamo a due Messe: quella del movimento a Lugano e poi correvamo a Canobbio sull’utilitaria di Luciano, per partecipare alla Messa del paese animata dal nostro gruppetto.

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