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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (13 dicembre 2025)
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  • A Lugano la conferenza su Qumran. Dai frammenti del Mar Morto all'intelligenza artificiale

    Sulla sponda nord-occidentale del Mar Morto, 12 chilometri a sud di Gerico, si incontrano delle rovine isolate che gli arabi chiamano Khirbet Qumran. Il terreno su cui sorge il Khirbet Qumran è costituito da una terrazza sassosa che si stende tra il ripido versante roccioso di una montagna del deserto di Giuda e un dirupo che sovrasta il Mar Morto. Attorno all'aprile del 1947, un giovane pastore beduino scoprì casualmente quella che oggi è chiamata "grotta 1", posta a circa 1 km a nord di Qumran.

    Alla fine del 1951 gli studiosi cominciarono ad interessarsi a tutta l'area attorno alla grotta in cui furono rinvenuti i manoscritti. Ulteriori campagne di ricerca e di scavi portarono, alla fine di marzo del 1956, alla scoperta di altre dieci grotte contenenti manoscritti e resti di vario genere.

    Il totale di tutti i documenti frammentari ritrovati è di circa 900 pezzi. Si presume che, in origine, nelle grotte fossero custoditi circa 1000 documenti; una parte dei rotoli è stata scoperta e portata via già nell'antichità e nel Medioevo. Altri rotoli si sono deteriorati nel corso di circa due millenni. Tuttavia, oggi, ad occuparsene c'è un'équipe dell'Istituto di Cultura e Archeologia delle terre bibliche (ISCAB) della Facoltà di Teologia di Lugano, guidata dal prof. Marcello Fidanzio. Ieri sera la tavola rotonda per presentare la prima pubblicazione, a livello mondiale, dei risultati degli scavi alla Grotta 11, alla presenza di oltre 200 persone: «Qumran Cave 11Q: Archaeology and New Scroll Fragments».

    Per gli studiosi intervenuti, Qumran è un viaggio. Un viaggio che ti porta dai frammenti polverosi ritrovati in alcune grotte sul Mar Morto all’intelligenza artificiale – adoperata oggi per dare un senso ai manoscritti ritrovati – ma anche un viaggio tra una difficoltà e l’altra, affrontata sempre in modo coraggioso dai suoi protagonisti. Difficile immaginare come possano essere state deposte delle pergamene nelle grotte di Qumran – un popolo in fuga dalla minaccia romana la tesi più accreditata – e difficile, ancora, condurre oggi gli scavi, in un contesto geopolitico di completa instabilità. Lo ricordano i primi due relatori alla tavola rotonda di ieri sera, nell’auditorium dell’Università della Svizzera italiana, i proff. Dan Bahat e Jean-Baptiste Humbert. Questo porta a lodare il lavoro del professor Marcello Fidanzio e della sua équipe, non solo per i risultati accademici ottenuti dal 2015 e ora riuniti nel volume presentato, ma anche, come ricordato nei saluti iniziali dal rettore della Facoltà di Teologia di Lugano René Roux e dal Rettore dell'Università della Svizzera italiana Erez Boas, per il lavoro diplomatico svolto, i contatti allacciati, la messa in campo, insomma, di una sinergia a livello internazionale, che permettesse a Qumran di continuare a svelare i suoi segreti.

    Martedì sera, in un aula magna dell’Università della Svizzera italiana gremita, si è tenuta la tavola rotonda “Qumran, la tessera mancante”, moderata dal già direttore del Corriere del Ticino,  Giancarlo Dillena durante la quale è stato presentato in anteprima mondiale, il volume “Qumran Cave 11Q: Archaeology and new scroll fragments", che presenta tutto il materiale ritrovato nella grotta 11. Una tessera mancante  sì, ma non ancora sufficiente per risolvere tutto l’enigma legato ai manoscritti ritrovati nelle grotte che si affacciano sul Mar Morto.

    In parte questi segreti la serata di ieri li ha svelati. Dai testi ritrovati a Qumran, ad esempio, sembrerebbe emergere chiara la necessità di concepire diversamente il testo biblico, non in modo statico ma in modo dinamico: l’Antico Testamento come qualcosa di fluido, in formazione, in dialogo con le comunità. Infatti, più manoscritti, tra quelli ritrovati nelle grotte del sito archeologico, contengono lo stesso testo ma in versione diversa. “Il concetto di rivelazione, così come la intendiamo normalmente, è qualcosa di moderno”, rivela il prof. David Hamidovic. “Ciò che interessava agli scribi di allora era consegnare un messaggio da parte di Dio, senza però interrogarsi sulla sua forma e la possibilità di ridarlo verbatim, identico parola per parola. Questo deve interrogarci anche sulle nostre odierne pratiche di ricerca, sul modo con cui vogliamo affrontare i testi e porci davanti ad essi”. Qumran, di grandi rivelazioni in merito alla storia biblica, secondo lo studioso non ne darà; piuttosto, oggi, è sulla storia del sito archeologico che bisogna interrogarsi, contestualizzandolo nel giudaismo. “Bisogna risalire al fondo culturale comune e soprattutto capire: chi ha messo proprio lì questi testi?”. A Losanna, dove lavora il professore, l’obiettivo è chiaro: l’università ha elaborato un algoritmo che permette di associare le calligrafie, nella speranza che un giorno si possano distinguere le mani intervenute nella stesura.

    “All’inizio – fa notare il prof. Fidanzio nel suo intervento – si è pensato alle grotte di Qumran come ad un insediamento stabile. Tuttavia, ci si è presto accorti che i resti ritrovati indicavano tutt’altro: i rotoli vi sono stati portati da qualcuno che è rimasto poche ore, massimo pochi giorni dentro le grotte. Le ceramiche utilizzate per le giare che contengono i manoscritti ci dice che questo individuo debba essere passato dall’insediamento sottostante. Nel resto del deserto di Giuda non ritroviamo niente di simile”. Infine, sull’importanza, per l’archeologo, di considerare anche il testo torna anche il prof. Fidanzio, a conclusione della serata, riprendendo un recente intervento alla British Academy di George Brook: “Normalmente siamo nella situazione per cui gli studiosi di testi vogliono un dato facile, mentre gli archeologi dichiarano che non sempre bisogna interessarsi dei testi. Brook ha proposto una nuova prospettiva: i rotoli sia come testi che come manufatti. Per questo devono essere al centro dell’attenzione sia di filologi che di archeologi. Il caso di Qumran dimostra che l’oggetto di ricerca può essere considerato sotto questa duplice prospettiva, valicando una frontiera che in fondo non ha motivo di esistere”. “Per me – confida il prof. Fidanzio – la ricerca archeologica è stata una spinta formidabile per calarmi nel contenuto dei testi. È la linea che abbiamo all’ISCAB: la cultura materiale porta alla lettura, comprensione e interpretazione del testo”.

    Da ultimo, uno sguardo al contesto svizzero: “Solo uno Stato neutrale come la Svizzera avrebbe potuto accogliere gli studi su Qumran e fornire il terreno pacifico per il loro sviluppo, in questo momento particolarmente martoriati a causa dell’instabilità della zona in cui si trovano le grotte”.

    Laura Quadri

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