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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (17 dicembre 2025)
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  • COMMENTO

    Dalla culla nelle braccia di Dio

    Maggio, mese mariano – tanto più che mi ritrovo a scrivere dopo la celebrazione del centenario dalle apparizioni di Fatima – porta l’impronta dell’abbraccio materno della Madre di Gesù e sotto la sua protezione accadono eventi importanti: molti sposi scelgono questo mese per suggellare la loro unione, altre coppie invocano Maria perché si celebri un fruttuoso battesimo di loro figlio. In queste occasioni, accanto alla bellezza delle preghiere che condensano tutta la sapienza della Chiesa, c’è un dato umano non trascurabile: capita a più riprese di accorgersi che lo sguardo dei partecipanti brilla. Che vi si assista con più o meno consapevolezza, la celebrazione liturgica che invera la realizzazione di un matrimonio o di un battesimo evidentemente colpisce. Questo accade, forse, per un aspetto squisitamente umano e spirituale al contempo, che un’anima sensibile avverte subito: attraverso la ricezione del sacramento ci si sente accompagnati e sostenuti nel cammino della vita. Appena nati, veniamo consegnati con cura alle braccia forti di Dio; quando intendiamo, con il matrimonio, dare avvio ad un nuovo inizio, la Chiesa garantisce la sua alleanza al nostro progetto. Una dichiarazione di comunione fa la nostra gioia di essere cristiani. Il battesimo, in particolare, “porta di tutti i sacramenti”, inserisce il candidato nella cosiddetta communio sanctorum, cioè la comunità di coloro che sono chiamati alla santità e al contempo all’unione con il Santo, ovvero con Dio, così come non accade in nessun altra comunità umana. È così che il corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, cresce. Ed è una crescita che, a ben vedere, procede per tappe costruite sull’amore. La consegna del battezzando nelle mani di Dio avviene infatti tutta in nome dell’amore: è amore umano che porta i genitori a chiedere il battesimo ed è un amore folle, geloso, spassionato, quello di Dio, che accoglie la sua creatura. Nel battesimo si celebra cioè il successo di una duplice relazione: quella tra genitori e figli e quella del Padre con uno dei suoi Figli. Tali relazioni sorreggono una vita intera. Ultimamente, mi capitava di assistere a una conferenza sulla cosiddetta “resilienza”, la capacità cioè di reagire ai traumi senza abbattersi ma facendone una risorsa per andare avanti. La relatrice insisteva su un punto: la resilienza spesso si innesca attraverso la forza delle relazioni, soprattutto quelle famigliari, che, in caso di eventi traumatici, forniscono il sostegno indispensabile. Il discorso può essere trasposto: analogamente, si può dire che nelle crisi spirituali, è il fatto di ritornare a quel momento fondante, nel quale fui delicatamente posto nelle braccia di Dio, che è Padre, che mi aiuta a guardare avanti con speranza. Tenere cara la memoria del nostro battesimo è un modo per far sì che l’amore continui a bruciare nei nostri cuori e per tenerci desti. La dinamica cui soggiace la Chiesa, quella di dono e ricezione dei Sacramenti e della Parola, non è altro che un movimento di Amore ricevuto e donato, del quale ci dobbiamo nutrire costantemente. Questo amore conduce infatti alla santità, che conserva anch’essa una forte spinta alla relazione: “la santità è intimità con Dio, è imitazione di Cristo (…) è amore alla Chiesa. Ciascuno di voi deve essere santo anche per aiutare i fratelli a seguire la loro vocazione alla santità”, scriveva San Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica del 1992 “Pastores dabo vobis”. La santità stessa conta sul fatto che siamo esseri in relazione, tanto con Dio quanto tra di noi. Non è una notizia bellissima? Quel bene che ci vogliamo è la strada che la santità sceglie per comunicarsi. Da qui un impegno esistenziale: fare partecipi gli altri della nostra gioia e iniziare a costruire un mondo famigliare, in cui il santo – ciascuno di noi – sia sempre “l’uomo del prossimo”. di Laura Quadri

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