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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (12 dicembre 2025)
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  • L'ultimo scritto inedito di papa Francesco: «Non abbiate paura di diventare vecchi»

    di Papa Francesco

    Ho letto con emozione queste pagine uscite dal pensiero e dall’affetto di Angelo Scola, caro fratello nell’episcopato e persona che ha rivestito servizi delicati nella Chiesa, ad esempio nell’essere stato rettore della Pontificia Università Lateranense, in seguito patriarca di Venezia e arcivescovo di Mila-no. Anzitutto voglio manifestargli tutto il mio ringraziamento per questa riflessione che unisce esperienza personale e sensibilità culturale come poche volte mi è accaduto di leggere. L’una, l’esperienza, illumina l’altra, la cultura; la seconda sostanzia la prima. In questo intreccio felice, la vita e la cultura fioriscono di bellezza. Non inganni la forma breve di questo libro: sono pagine molto dense, da leggere e rileggere. Colgo dalle riflessioni di Angelo Scola alcuni spunti di particolare consonanza con quanto la mia espe- rienza mi ha fatto comprendere. Angelo Scola ci parla della vecchiaia, della sua vecchiaia, che – scrive con un tocco di confidenza disarmante – «mi è venuta addosso con un’accelerazione improvvisa e per molti aspetti inaspettata». Già nella scelta della parola con cui si autode- finisce, «vecchio», trovo una consonanza con l’autore.

    Sì, non dobbiamo aver paura della vecchiaia, non dobbiamo temere di abbracciare il diventare vecchi, perché la vita è la vita ed edulcorare la realtà significa tradire la verità delle cose. Restituire fierezza a un termine troppo spesso considerato malsano è un gesto di cui esser grati al cardinale Scola. Perché dire “vecchio” non vuol dire “da buttare”, come talvolta una degradata cultura dello scarto porta a pensare. Dire vecchio, invece, significa dire esperienza, saggezza, sapienza, discernimento, ponderatezza, ascolto, lentezza… Valori di cui abbiamo estremamente bisogno!

    È vero, si diventa vecchi, ma non è questo il problema: il problema è come si diventa vecchi. Se si vive questo tempo della vita come una grazia, e non con risentimento; se si accoglie il tempo (anche lungo) in cui sperimentiamo forze ridotte, la fatica del corpo che aumenta, i riflessi non più uguali a quelli della nostra giovinezza, con un senso di gratitudine e di riconoscenza, ebbene, anche la vecchiaia diventa un’età della vita, come ci ha insegnato Romano Guardini, davvero feconda e che può irradiare del bene.

    Angelo Scola evidenzia il valore, umano e sociale, dei nonni. Più volte ho sottolineato come il ruolo dei nonni sia di fondamentale importanza per lo sviluppo equilibrato dei giovani, e in definitiva per una società più pacifica. Perché il loro esempio, la loro parola, la loro saggezza possono instillare nei più giovani uno sguardo lungo, la memoria del passato e l’ancoraggio a valori che perdurano. Dentro la frenesia delle nostre società, spesso votate all’effimero e al gusto malsano dell’apparire, la sapienza dei nonni diventa un faro che brilla, rischiara l’incertezza e dà la direzione ai nipoti che possono trarre dalla loro esperienza un “di più” rispetto al proprio vivere quotidiano. Le parole che Angelo Scola dedica al tema della sofferenza, che spesso si instaura nel diventare vecchi, e di conseguenza alla morte, sono gemme preziose di fede e di speranza.

    Nell’argomentare di questo fratello vescovo sento riecheggiare la teologia di Hans Urs von Balthasar e di Joseph Ratzinger, una teologia “fatta in ginocchio”, intrisa di preghiera e di dialogo con il Signore. Per questo motivo ho detto poco sopra che queste sono pagine uscite “dal pensiero e dall’affetto” del cardinale Scola: non solo dal pensiero, ma anche dalla dimensione affettiva, che è quella cui la fede cristiana rimanda, essendo il cristianesimo non tanto un’azione intellettiva o una scelta morale, bensì l’affezione a una persona, quel Cristo che ci è venuto incontro e ha deciso di chiamarci amici. Proprio la conclusione di queste pagine di Angelo Scola, che sono una confessione a cuore aperto di come egli si stia preparando all’incontro finale con Gesù, ci restituiscono una consolante certezza: la morte non è la fine di tutto, ma l’inizio di qualcosa. È un nuovo inizio, come evidenzia saggiamente il titolo, perché la vita eterna, che chi ama già sperimenta sulla terra dentro le occupazioni di ogni giorno, è iniziare qualcosa che non finirà.

    Ed è proprio per questo motivo che è un inizio “nuovo”, perché vivremo qualcosa che mai abbiamo vissuto pienamente: l’eternità. Con queste pagine tra le mani vorrei idealmente compiere di nuovo lo stesso gesto che feci appena indossato l’abito bianco da Papa, nella Cappella Sistina: abbracciare con grande stima e affetto il fratello Angelo, ora, entrambi più vecchi di quel giorno di marzo del 2013. Ma sempre accumunati dalla gratitudine verso questo Dio amoroso che ci offre vita e speranza in qualunque età del nostro vivere.

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