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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (13 dicembre 2025)
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  • Myriam Di Marco

    Myriam Di Marco e il suo "normalissimo Israele". La presentazione del libro a Locarno

    Non un libro scientifico, di nozioni e concetti attraverso cui interpetare Israele e la sua cultura, bensì un vero e proprio libro “di viaggio”, per raccontare un Paese le cui contraddizioni, a chiunque lo visiti, restano nella mente a lungo, suscitando interrogativi ma anche facendo provare, a chi poi rientra a casa, una grande malinconia e la voglia, soprattutto, di tornare. Così si può descrivere l’ultimo libro-testimonianza di Myriam Di Marco – «Mamma, ritorneremo? Il mio normalissimo Israele» (San Paolo Editore) –  assistente alla Facoltà di Teologia di Lugano, nella quale la giovane ricercatrice ritrae e ripercorre, 5 anni fa, il suo periodo di studio ad Haifa, durante il quale decise coraggiosamente di portare con sé, per un’esperienza unica, anche la figlia Bianca, allora di appena tre anni. Un viaggio che si è trasformato in un’avventura e in una ricerca: quella del vero volto di Israele, in mezzo appunto alle sue contraddizioni, al suo sapore multietnico, ai colori della sua natura rigogliosa. “Non ho inventato nulla”, ha ribadito al pubblico accorso alla Biblioteca cantonale di Locarno lo scorso 24 luglio per ascoltarla, nel contesto della rassegna estiva “Chilometro Zero”, organizzata dalle Biblioteche cantonali. “Mi sono subito resa conto che Israele, davvero, è un melting pot di tradizioni, culture, lingue diversissime e un punto d’osservazione privilegiato. Nel libro racconto di episodi che mi sono realmente accaduti lungo la mia quotidianità e che mi hanno colpito, ma ho anche deciso di accompagnare ciascuno di essi con una mia breve riflessione. Il mio viaggio inizia quando decido di intraprendere un percorso di post dottorato; quella fase in cui idealmente un ricercatore deve dimostrare di saper condurre una ricerca indipendente. Ho fatto richiesta a varie università; alla fine la scelta è ricaduta proprio su Haifa».

    Una scelta che, inevitabilmente, era destinata a influenzare, in parte, l’intera famiglia di Myriam. Ma di dubbi non ce ne sono molti:

    «Ho subito capito che anche per mia figlia, sebbene piccola, sarebbe stata un’occasione davvero unica, un’esperienza con il diverso che non avrebbe forse mai più potuto ripetere.

    Così ho deciso che il visto per partire lo avrei dovuto chiedere anche per lei. Il mio primo sostegno, in questa scelta, è stato mio marito».

    Da Lugano ad Haifa, il viaggio non è solo materiale ma anche mentale, culturale, antropologico. Cambiano infatti totalmente mentalità, abitudini, sguardi sul mondo. Uno di questi, racconta Myriam, è il modo con cui vengono considerati gli stessi bambini. «Nella società israeliana i bambini sono la risorsa più importante per costruire il futuro, in un Paese che sa di essere costantemente in guerra. Ciò influenza il comportamento dei genitori e degli insegnanti fin nei minimi dettagli: c’è un rispetto assoluto delle nuove generazioni e anche il tentativo di far loro passare l’infanzia più spensierata possibile. Ma la realtà incombe su di loro.

    A 16 anni diventi infatti adulto: dal paese “dei balocchi”, approdi al paese dei missili.

    E la cosa più drammatica, attualmente, è che la carriera militare viene vista e considerata come la porta di accesso alla società: se presti servizio, hai moltissime opportunità di collocamento in più; è addirittura probabile che durante il militare tu possa incontrare il tuo futuro datore di lavoro, una ditta o qualcuno implicato nella gestione del conflitto», osserva Myriam con amarezza.

    Amarezza che si mescola allo stupore nel constatare una popolazione estremamente tenace: «Dal mio punto di vista, posso dire che tra le persone che ho incontrato nessuno sembra volersene andare. C’è un radicamento, un attaccamento fortissimo verso la propria terra, in quasi tutte le etnie che popolano il Paese. Che deriva da tre atteggiamenti sostanzialmente diversi. Il primo è quello di fingere che vada tutto bene: non parlare mai né del conflitto né degli aggressori, nella paura, soprattutto, di essere spiati. Altri invece, sopportano la situazione per fatalismo: se deve accadere accadrà. Altri ancora, infine, rimangono perché lo vogliono davvero; lo vivono infatti come una missione, quella di popolare la minoranza».

    Proprio al convivenza tra etnie è una caratteristica portante di Israele: «Pur consapevoli delle differenze, e anche delle ostilità tra gruppi etnici, c’è la forte volontà di costruire una vita sociale comune, condividendo dei valori che sono universali. Un grande valore in cui credono le donne del posto, ad esempio, è la solidarietà. Nella consapevolezza che o si collabora o si continua a distruggere. L’istruzione è ancora divisa per etnie: le scuole ebraiche, arabe o quelle private per i cristiani. Ma sono nati, negli ultimi anni, anche tentativi nuovi di conciliazione: scuole private dove ti insegnano a gestire il conflitto, a confrontarti con chi è diverso da te, simulando anche dei litigi e portando l’allievo a riflettere sulla loro risoluzione. Anche la comunicazione è molto immediata: i ragazzi imparano fin da piccoli a discutere e confrontarsi con il testo talmudico. Questo fa sì che, concretamente, applichino questo modello anche nella vita quotidiana: entrano subito in confidenza, non si arrestano alle formalità, discutono e dibattono su tutto, dimostrando anche una certa apertura mentale. La ricerca di una comune convivenza si vede anche nelle decisioni politiche. Penso a quando hanno voluto costruire un minareto a fianco della Basilica dell’Annunciazione a Nazareth. Lo Stato lo ha vietato, proprio per evitare inutili conflitti. Per quanto mi riguarda, quanto alla solidarietà, soprattutto tra donne, sono rimasta subito colpita da come l’abbiamo esercitata fortemente anche verso di me e mia figlia. Appena arrivata un paio di mamme, sapendo che abitavo a diversi chilometri dall’asilo di Bianca, si sono messe a disposizione per accoglierla, scambiandosi i numeri di telefono, nel caso in cui ci dovesse essere un attacco missilistico improvviso. Un gesto che mi ha profondamente commosso».

    Il libro «Mamma, ritorneremo? Il mio normalissimo Israele» (San Paolo Editore) è disponibile su Letteratura e narrativa :: Libri :: Paolinestore.it.

    Leggi anche Myriam Di Marco: «Si è mamma ovunque allo stesso modo» (catt.ch)

    Laura Quadri

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