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  • René Roux, rettore della Facoltà di Teologia di Lugano COMMENTO

    René Roux, rettore della Facoltà di Teologia di Lugano: "Il Papa, prima che teologo, profeta"

    di Laura Quadri

    Per una Chiesa in uscita ci vuole anche una teologia «in uscita». È quanto sottolinea René Roux, rettore della Facoltà di Teologia di Lugano, nel pensare a quale eredità Papa Francesco abbia lasciato anche nell’ambito teologico. Partendo da un ricordo molto personale e recente: «La mia ultima opportunità di vederlo da vicino è stato lo scorso dicembre a Roma, in occasione del Convegno internazionale sul futuro della teologia, a cura del Dicastero per la Cultura e l'Educazione, evento che ha radunato oltre 800 persone da tutto il mondo per riflettere su questo tema nel senso voluto dal Papa: pensare cioè a una teologia missionaria. Nel discorso fatto da Francesco e poi nella successiva udienza che ci ha concesso, salutandoci personalmente ad uno ad uno, ho percepito il suo vivo interesse per il lavoro dei teologi e ho avuto la sensazione che il nostro compito, anche per lui, contasse molto». Affinché sussista una teologia «in uscita», «essa, per il Papa, deve anzitutto trasformarsi in vita vissuta, concreta. Bergoglio non è stato un teologo professionista, come Ratzinger o Wojtyla. Nei suoi anni di insegnamento nei collegi gesuiti si è occupato piuttosto di letteratura e filosofia. Ma questo non significa che durante il suo magistero non ritroviamo temi importanti anche dal punto di vista teologico».

    Più che teologo, profeta

    «Forse, più che un teologo in senso stretto, è stato un profeta: profeta di quella misericordia e di quel perdono, ad esempio, di cui lui stesso ammetteva di avere grande bisogno, e facendoci da esempio, ricorrendo spesso al sacramento della confessione. Voleva mostrarci un uomo che chiedeva perdono e lo riceveva. E quando parlava ai sacerdoti li esortava a essere sempre espressione di questa misericordia».

    Una teologia sul campo

    Nei suoi discorsi, nelle sue scelte pastorali, e nell’esempio, ma sempre con uno sguardo puntato sulla teologia, «metteva inoltre al centro la realtà concreta degli uomini e delle donne del nostro tempo. Gli ultimi, i poveri, certo, ma soprattutto i lontani, come il Padre della parabola del Figliol Prodigo. E si è ritrovato nella stessa condizione: spesso il “figlio maggiore” – i governanti dei Paesi o anche chi gli stava accanto – non capiva. Aveva sete di una teologia che non fosse chiusa negli armadi, nelle scuole, ma che si sviluppasse a contatto con le periferie esistenziali, per poter arrivare a ciascuno». A tutto questo si aggiunge, «un’attenzione alla riforma degli studi ecclesiastici che ha promosso con la costituzione apostolica Veritatis Gaudium, insistendo molto, ad esempio, sulla necessità di approcci interdisciplinari nelle facoltà di Teologia. Con l’Esortazione apostolica Amoris laetitia, invece, ha posto anche da un punto di vista teologico il problema della pastorale dei divorziati risposati, portandoci a leggere in modo più vicino alle situazioni esistenziali concrete quello che è l’insegnamento del Vangelo. Questa capacità di discernimento, attenzione alla situazione concreta lo ha caratterizzato anche teologicamente».

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