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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (11 dicembre 2025)
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  • Padre Patton

    Terra Santa: padre Patton racconta i suoi nove anni da Custode. “La Terra non rimarrà ai violenti, ma ai miti”

    “L’esperienza più formativa della mia vita. Quella che mi ha aperto di più anche a livello mentale e spirituale. L’internazionalità, l’incontro e il dialogo con gente di altre religioni, di altre culture”. Così padre Francesco Patton, sintetizza al Sir i suoi nove anni trascorsi come Custode di Terra Santa, dal 20 maggio 2016 al 24 giugno 2025, giorno in cui ha passato il testimone al confratello, padre Francesco Ielpo. Da Trento, sua regione di provenienza, con trascorsi anche di giornalista nel settimanale diocesano “Vita Trentina”, alla Terra Santa, padre Patton prova a mettere in fila i tanti ricordi di questi anni, cominciando dalla fine: “mi ha scritto proprio in questi giorni l’ex capo del villaggio israeliano di Ain Karem, luogo della nascita di san Giovanni Battista, ringraziandomi, da un lato, ‘per le iniziative di dialogo e amicizia che abbiamo incoraggiato in questi anni’ e, dall’altro, ‘esprimendo il dispiacere che, a causa della guerra, molti incontri sono stati sospesi. Ma resta forte la speranza che possano riprendere al più presto’”. “Anche un amico musulmano mi ha fatto degli auguri molto cordiali, fraterni e significativi. Mi ha mandato un WhatsApp esprimendo il desiderio che io potessi continuare a servire la gente che vive in Terra Santa e la reciproca comprensione in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo”.

    Tra guerra e speranza

    Nove anni vissuti tra epidemie, tensioni e guerre, ma il filo rosso che li tiene uniti resta sempre quello dell’“incontro, fraternità e dialogo”. “Sono arrivato nel 2016 in piena guerra civile siriana” ricorda padre Francesco, una sorta di battesimo del fuoco. La Siria e Damasco dove ha avuto luogo la conversione di Saulo, non ancora noto come Paolo. “Mi ricordo Aleppo e la testimonianza dei frati, di padre Hanna Jallouf (oggi vicario apostolico di Aleppo, ndr.) e del suo confratello padre Louai, rimasti nella Valle dell’Oronte, controllata dai jihadisti filo Al Qaeda, dopo che tutti erano fuggiti. Ricordo il terremoto del febbraio del 2023 che devastò il Paese già in ginocchio, e prima ancora l’epidemia del Covid dell’inverno del 2020 e i continui conflitti tra Israele e Hamas a Gaza”, del 2018, del 2019, del 2021 fino al 7 ottobre 2023. Eventi certamente drammatici ma nelle cui pieghe hanno trovato spazio anche tante persone di buona volontà ricche di speranza e di dialogo. Il pensiero di padre Patton torna alla “dedizione di padre Ibrahim Faltas ai bambini, da quelli di Gerusalemme, Israele e Palestina ai quali si cerca di garantire un futuro soprattutto attraverso un’adeguata educazione scolastica, a quelli di Gaza che si sono trovati ad essere il soggetto più fragile in un contesto di guerra in cui sono rimasti senza casa, senza scuola, senza cibo e senza cure mediche, spesso senza papà, mamma e fratelli; bisognosi di essere salvati come i piccoli innocenti dall’Erode di turno”. Cita ancora “padre Toufic Bou Mehri che, durante la guerra tra Israele e Hezbollah libanesi, da Tiro, ogni domenica andava in auto nel villaggio cristiano sotto attacco di Deir Mimas a portare viveri e a celebrare messa per le poche famiglie rimaste”. E soprattutto ai tanti frati che “durante la pandemia e in questi anni di guerra, sono rimasti saldi in posti molto isolati perché sanno quanto vale quel Luogo per la narrazione evangelica e per l’identità dei cristiani locali”. Un ricordo a parte il frate lo dedica a Rachel Goldberg-Polin, mamma di Hersh, rapito al Festival Nova e ucciso da Hamas: “questa donna ha rifiutato di mettere in competizione la sofferenze di ebrei e palestinesi e ha deciso di non vivere il suo dolore come ripiegamento ma di restare aperta alla tragedia dell’altro, per aprire una via all’accettazione reciproca, alla riconciliazione e alla pace”. Un vero e proprio cambiamento culturale.

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