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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (13 dicembre 2025)
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  • Da sinistra: Federica Spitzer (1911-2002) con Maria Osterwalder

    In occasione della Giornata della memoria una testimonianza ticinese

    In occasione della Giornata della memoria che nel mondo si celebra il 27 gennaio a ricordo della data della liberazione del campo di Auschwitz, Maria La Placa Osterwalder torna su un suo incontro luganese con Federica Spitzer.

    Era una giornata fredda e grigia, che già preannunciava l’inverno. Volevo incontrare la mia amica e vicina di casa del quinto piano, che era anziana e sola. Mi aprì lei, Fritzi, facendomi capire subito con l’indice sulle labbra, di non parlare ad alta voce. Dalla porta socchiusa del salotto, si intravvedeva un uomo che dormiva sulla chaise longue. Indossava la giacca lunga di mohair marroncina che Fritzi soleva mettere nei giorni freddi. Era senza scarpe, i calzini, e dormendo saporosamente, non si accorse di noi. La mia vicina mi trascinò nella camera da letto accanto, dove depositati il vassoio, e alla mia espressione stupita, diede questa risposta: «È un mio caro amico d’infanzia. Ogni volta che conclude una tournée, viene a salutare la sua vecchia amica».

    Poi, ricordando un passato ormai lontano, aggiunse: «Quando era bambino, vivevamo nella stessa casa, a Vienna. Poiché la sua mamma, che era rimasta vedova, lavorava, quando Paul ritornava da scuola, io mi occupavo di lui, gli preparavo la merenda e lo seguivo nei compiti, poi, ci concedevamo una pausa, alla quale tenevamo molto, per suonare il piano. Siccome era un periodo difficile di guerra, avevamo paura di parlare di tutto anche in casa: i muri avevano orecchie da quando i vicini origliavano. Poi successe quel che successe, fui deportata a Theresienstadt e persi di vista Paul». Sua madre in seguito si risposò e sebbene lui avesse conservato il cognome del padre, dopo la liberazione dal campo di concentramento non riuscii più a rintracciarlo.

    Poi, quando ero a Lugano ormai da un po’, improvvisamente, si fece vivo, dopo avermi cercata dappertutto e per molto tempo: fu come ritrovare un fratello minore dato per perso. «Nel frattempo era diventato un uomo e un musicista famoso. Oggi, ad esempio, è qui di ritorno dall’America e ieri sera ha dato un concerto a Milano. Siccome era stanco e aveva freddo, gli ho dato il mio vecchio golf di lana. Lasciamolo dormire ancora un po’». Quindi si alzò e andò a sbirciare dall’apertura della porta ed entrò.

    Ritornando poco dopo, mi disse: «Vieni, ti vuole conoscere!». Ero emozionatissima, non avevo compreso subito chi fosse e quando seppi che si trattava di Paul Badura-Skoda, di cui avevo sentito i dischi all’infinito, gli confessai di essere molto emozionata e quasi non riuscii a dirgli quanto lo avessi apprezzato come musicista da ragazza e quanto fossi lusingata di conoscerlo ora. Così trascorremmo un po’ di tempo parlando piacevolmente di musica classica. Infine, con grande nonchalance si sedette al piano verticale di Fritzi e senza scarpe, con i calzini blu di filo di Scozia, attaccò «Für Elise» di Beethoven. Quando finì, eravamo emozionati tutti e Fritzi era giustamente orgogliosa e commossa.

    Rimasi ancora un po’. Non volevo disturbare quel loro incontro colmo di ricordi. Non molti giorni più tardi, ricevetti una gradita sorpresa: un CD sulla cui copertina capeggiava Paul appoggiato con eleganza ad un magnifico pianoforte a coda. La dedica era scritta a mano e si era ricordato della mia predilezione per Chopin. Di tutte le emozioni provate allora, ripenso oggi più che mai alla loro bella e affettuosa amicizia che aveva attraversato quella spaventosa tempesta, che fu il secondo conflitto mondiale, a tutti i patimenti e alla gioia del loro ritrovarsi. Non posso che provare una profonda commozione e ringraziare Dio di averli conosciuti entrambi. 

    Maria Osterwalder

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