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Parola del giorno rito Romano | Ambrosiano (14 dicembre 2025)
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  • Migranti a Como (foto d'archivio)

    Per la Domenica dei rifugiati, l'appello della Chiesa svizzera e della Comunità ebraica

    Come si legge sul sito della Conferenza dei vescovi svizzeri, in occasione della Domenica (16 giugno) e del Shabbat dei rifugiati (15 giugno), la Federazione svizzera delle comunità israelitiche e le tre Chiese nazionali invitano Confederazione, Cantoni e Comuni a istituire un sostegno linguistico intensivo e qualificato per i rifugiati.

    «Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro.» (Noach/Genesi 11,7) La torre di Babele non è solo una spiegazione metaforica per la pluralità linguistica tra gli esseri umani, ma mette in evidenza anche la problematica di appartenenza ed emarginazione causate dalla lingua. In seguito si comprendevano tra di loro solo i membri di una famiglia o di una tribù. Si sono riscoperti come comunità che si distingueva da tutte le altre comunità che parlavano una lingua diversa. Nel mondo dopo Babele nacque qualcosa di completamente sconosciuto fino allora: il problema della traduzione. Se le persone di comunità diverse volevano entrare in contatto tra di loro in modo pacifico, dovevano imparare le lingue straniere per comunicare e comprendersi.

    La globalizzazione ha fatto tornare l’umanità ai tempi di Babele. È vero, il mondo è connesso dalle tecnologie, ma i problemi di comprensione sono rimasti. I rifugiati risentono più di chiunque altro dei confini linguistici e culturali. Sono stati costretti a lasciare il loro spazio linguistico e culturale familiare per cercare rifugio in Paesi con culture e lingue diverse. Le parole di chi non comprende la lingua nazionale e non si sa esprimere in essa restano senza peso, non vengono ascoltate e capite. Chi non sa comunicare resta senza parole. E chi è senza parole, viene escluso dalla comunità, non ha voce in capitolo.

    Interesse, attenzione, partecipazione e appartenenza non possono esistere se non c’è comunicazione. La lingua crea comunità e solo chi capisce e parla la lingua della comunità, vi può appartenere. Lo Stato e la politica hanno pertanto la responsabilità di offrire ai profughi accolti un insegnamento di alta qualità nella lingua del nuovo centro della loro vita. Non basta avere conoscenze linguistiche rudimentali, come per una vacanza turistica. L’integrazione presuppone da un lato la disponibilità di volersi integrare, dall’altro la presenza di risorse per potersi integrare. Chi richiede l’integrazione, deve anche dare alle persone che vogliono integrarsi la possibilità di farlo. Una convivenza funzionante dipende sostanzialmente da un reciproco ascolto e dal far sentire la propria voce. A tale proposito occorre istituire un sostegno linguistico intensivo e qualificato per i rifugiati. In occasione della Domenica e del Shabbat dei rifugiati, la Federazione svizzera delle comunità israelitiche e le tre Chiese nazionali invitano Confederazione, Cantoni e Comuni a creare e a mantenere le risorse istituzionali e organizzative per un sostegno linguistico sostenibile anche a favore dei rifugiati.

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